“Cicatrici, segni indelebili fissati nell’anima per l'eternità”: sono questi che spingono Stefano, ex deportato dei campi di concentramento, “sopravvissuto che si vergogna di essere vivo”, a ripercorrere le tappe della sua prigionia per offrine testimonianza alle nuove generazioni. L'unico strumento di cui dispone per rielaborare l’orrore e la profonda sofferenza di quei 15 mesi di cattività, “di annullamento fisico e psichico”, che una vita serena non è riuscita ad attenuare.
Così come per Lucia, che della guerra ha vissuto l’orrore delle rappresaglie. Entrambi vi hanno perduto i propri genitori; Stefano anche l’amore della sua gioventù: Rosalena.
Sarà proprio grazie a un incontro casuale, che in qualche modo la riguarda, che riuscirà a sistemare quel tassello del suo passato e, a seguire, tutti gli altri, cancellando finalmente i suoi sensi di colpa, tornando davvero, dopo ben cinquant’anni, alla sua condizione di uomo veramente libero.
Questo romanzo, che ha un avvio lirico, caratterizzato da una prosa poetica, ricca di metafore, a un certo punto si tinge di giallo e ha anche il potere di riportare alla nostra attenzione con forza certi pezzi di storia, oltre a ricordarci che “Ogni persona pensante ha i suoi fantasmi” e che, senza vincerli, non si potrà mai vivere fino in fondo ed essere felici.
È con innegabile maestria che, in questa sua opera, l’autrice Maria Pia Trevisan ci catapulta nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, fra soldati tedeschi e partigiani, deportazioni e campi di concentramento, mostrandoci, infine, che niente è tutto bianco o tutto nero, che l’apparenza spesso inganna e che non bisogna limitarsi a etichettare gli esseri umani in base al loro ruolo nella società e nella storia, ma occorre andare ben oltre la facciata per coglierne la vera essenza.
Un ruolo non trascurabile, in questa trama così ben congegnata, lo rivestono a sorpresa i sensi di colpa che confermano come spesso le vittime siano le prime a nutrire dubbi, infondati, sul proprio operato. Del resto, come scrive Maria Pia Trevisan: “Nel ventre di una guerra, di quella guerra che non si poteva certo combattere a colpi di fioretto, la coscienza di ciascuno non poteva essere messa a tacere.”
L’amore per la vita e gli affetti di una vita, l’impegno sociale, l’altruismo, che fanno da costante sfondo a una narrazione intensa e vibrante, rendono “Le farfalle di Ebensee” un piccolo capolavoro, ricco di umanità e di spunti di riflessione sempre attuali.
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