“Una bambina da salvare” di Girolamo Nuvola è un altro di quei romanzi nei confronti di cui non sono nelle condizioni di esprimere un giudizio univoco.
Il perché è presto detto. Se lo consideriamo dal punto di vista della trama, è un buon giallo, ricco di intrecci sapientemente costruiti, oltre che di personaggi ben tratteggiati e coerenti con sé stessi.
Altri aspetti a suo favore: non presenta incongruenze a livello contenutistico o cronologico; l’autore possiede un vero talento nelle descrizioni e riesce a tenere incollato il lettore alle pagine.
Di morti ce ne sono parecchi, soprattutto all’interno del nucleo familiare, quello del facoltoso ingegner Sanilli, intorno a cui ruota la trama, ma del resto si tratta di un giallo ed è comprensibile che ci scappi il morto, se, per esigenze di trama più di uno, niente di strano.
Ma, e qui arriviamo alle dolenti note, perché infierire su uno dei protagonisti facendolo morire, nel finale, non per mano di qualcuno, ma di una malattia incurabile, non certo funzionale alla trama di un giallo?
Perché far dire a uno dei personaggi: “La felicità ha sempre un prezzo da pagare?” Ma dove sta scritto? Chi lo dice? Perché, e qui mi rivolgo all’autore, far passare il messaggio, deleterio, che ogni gioia vada espiata? Possibile che la tv del dolore, o chi per essa, ci abbia fatto un tale lavaggio del cervello? Da dove deriva una concezione della vita così vittimistica?
Per finire, c’è anche un altro elemento non mi ha convinto. In questo libro l’autore oscilla fra un approccio fin troppo distaccato nei confronti delle vicende ai toni quasi melensi delle ultime pagine, che spiazzano il lettore facendolo interrogare sulla necessità di certe scelte.
Che dire di più?
Leggetelo e fatemi sapere se siete d’accordo con me.
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